C’erano una volta due sorelle: Gaia e Stefania.
Gaia ama le torte al cioccolato e vestirsi di rosa. Da grande vuole diventare un’astronauta.
Stefania preferisce leggere libri d’avventura, andare a cavallo e passeggiare con il suo papà in riva al mare.
Ma questa non è una fiaba a lieto fine.
Una domenica mattina le sorelle si alzano, e corrono in cucina con lo stesso desiderio: vogliono ambedue un’arancia. Ben presto si accorgono che nella cesta sul bancone in marmo bianco, nella luminosa cucina al primo piano, ne è rimasta soltanto una.
Per un minuto entrambe tacciono, valutando le alternative.
Ma il desiderio è più forte dell’imbarazzo.
Gaia esclama: “L’ultima arancia spetta a me! Sono andata con mamma a comprarle, e la voglio!”. Stefania allora replica, con una voce di un tono più alto del normale: “Ma io sono la sorella maggiore! E poi, ieri ho preso 9 alla verifica, mamma e papà mi hanno promesso un regalo! La merito più io!”.
Nella cucina immersa nella luce del mattino cala nuovamente un silenzio nervoso: le sorelle sanno che, qualora si mettessero a litigare, i genitori le punirebbero non portandole in spiaggia nel pomeriggio.
Così restano immerse nella luce e nel silenzio: Gaia con le braccia conserte, torturando la manica a sbuffo della sua camicetta rosa, Stefania con i palmi appoggiati sul bancone, gli avambracci tesi nascosti dalla t-shirt bianca.
Dopo qualche minuto di indecisione, optano per la soluzione più semplice: dividono l’arancia a metà. E ognuno per sé.
Gaia si volta, e si avvicina al frigorifero; spreme la polpa della sua metà di arancia, ottenendo una quantità di succo insoddisfacente – che non la disseta – e getta via la buccia.
Stefania, invece, si dirige verso il forno; accende la planetaria, prepara l’impasto, gratta la buccia della sua metà per profumare la sua crostata, ma getta via la polpa. Una volta cotta, però, la crostata non è profumata, anzi risulta insipida, e Stefania storce il naso alla volta della sua pessima creazione.
Ormai sono le 11, tra poco mamma e papà rientreranno dalla passeggiata.
Gaia e Stefania si guardano sottecchi, non dicono nulla, e tornano ognuna nella propria stanza, fermamente decise a non parlare mai più di quanto accaduto.
Davanti a un risultato da raggiungere, o a un desiderio da soddisfare, non c’è spazio per le smancerie: contro gli alfieri bianchi e il loro seguito c’è solo l’altro re, che muove sulla scacchiera pedine nere, in cerca della vittoria – o almeno del risultato migliore.
Così ci si trova spesso arroccati in una difesa siciliana, mentre il resto del mondo continua a muoversi senza sosta e senza interessarsi alla partita in corso.
Perché l’unico obiettivo è vincere, e se io perdo, tu vinci. Ma se io vinco, tu perdi, e per me è come aver vinto due volte.
Perché i conflitti sono questo, spesso: un perverso meccanismo distruttivo, senza apparente soluzione di pace.
Ma è davvero così? Se io vinco, tu perdi? E se tu vinci, io perdo davvero?
E se Gaia e Stefania avessero parlato?
Non l’avrebbero mai fatto. Perché condividere? E consegnare in pasto a un altro essere umano un minuscolo pezzo della propria realtà? Certo che no.
Ma se l’avessero fatto? In questa fiaba, una avrebbe avuto una spremuta dissetante, l’altra avrebbe cucinato la crostata perfetta.
E avrebbero vissuto entrambe felici e contente.
Facile dirlo col senno di poi.
Quante volte sarebbe bastato chiedere “cosa vorresti da questa storia?” oppure “di cosa hai bisogno davvero?” per raggiungere un risultato migliore per entrambi?
Rivalità, silenzi e futili motivi: il cocktail perfetto da bere per dimenticare che c’è sempre un’alternativa, un’altra scelta.
Spariscono le sfumature, solo perché non si ha il coraggio di parlare.
Ma la vita non è una scacchiera: non pretende un vincitore e un perdente per andare avanti. La regina non deve per forza attaccare il re, gli alfieri non devono impugnare le lance e scalare la torre.
La vita non è solo bianco e nero. Ci sono altri colori.
L’arancione, ad esempio.